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      - Sembra che l'Itacense e l'Abruzzese siano amiconi di antichissima data. Le due navi, infatti, si arrestano l'una accanto all'altra, e, dopo gli inevitabili saluti e le inevitabili esclamazioni: Oh! sei tu!?, Sei tu?!, il Dannunzio presenta i suoi «fidi compagni» al Laerziade, ed essi, «i fidi compagni», cui non par vero di trovarsi alla presenza di un tanto uomo, gli dicono tutti ad una voce:
      Liberi uomini siamoe come tu la tua scotta
      noi la vita nostra nel pugnotegnamo, pronti a lasciarla
      in bando o a tenderla ancora.
      Ulisse non comprende così strane parole e fa un movimento di sgradita sorpresa.
      Però quelli continuano:
      Ma se un re volessimo avere,
      te solo vorremmoper re, te, che sai mille vie.
      Prendici nella tua navetuoi fedeli sino alla morte.
      Che bel discorso, neh? E che effetto grande se ne impromettevano essi, gli adulatori profumieri! Ma Ulisse
      «non pur degnò volgere il capo»
      commettendo così, a sua insaputa, lui, eroe, ma non linguaio purista, un francesismo: non degnò, per non si degnò!
      Ed io immagino come a quella sprezzante scortesia del superbo Laerziade, dovesse il D'Annunzio gongolare di gioia. Oh! che non avevano «i suoi fidi (non più fidi) compagni» manifestato il desiderio di abbandonarlo supplicando Ulisse di prenderli nella sua nave quali «suoi fedeli sino alla morte»? Però della sua gioia egli non fa trapelar nulla ai suoi «fidi compagni» non più fidi, e in quella vece si pone a ricordare i giorni del tempo buono, quando egli - alla insaputa dei Proci - entrando per un buco segreto - visitava la casta Penelope e l'aiutava a fare e a disfare la tela; richiama alla sua memoria il vasto talamo tutto di legno di olivo confitto al ceppo natio con chiodi di argento, sul quale Telemacuccio, allora giovanetto di primo pelo - mentre la genetrice e D'Annunzio chiacchieravano - furtivamente saliva a sollazzarsi - tenendo gli occhi sul bel Divo - a sollazzarsi col suo bischeretto, quel Telemacuccio che ora s'era fatto Telemaco e che, pur avendo visto Elena, viveva coniugalmente con una fantesca!


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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