» - E la presente Laus Vitae ne è la prova lampante. - E che fa il D'Annunzio, se non quello che fa Mercurio? Non è egli - come Ermes - maestro di congiungimenti, che, per opera sua, i suoi «eroi» compiono perfino colla lingua? E di congiungimenti incestuosi chi più bravo di lui? Non è egli - come Mercurio - «compositor sagace di concordie divine», cioè, superumane? E quale concordia più superumana di quella che il Divo ha stabilito tra lui e la duchessa di Gallese, come già, un tempo, fecero Jeova e Giunone, i quali - divisi - si visitavano, e...., indi, si dividevano, ciascuno facendo il piacer suo; poscia, ancora, si rivisitavano, e...., e, dopo, ancora ed ancora, si ridividevano, e..... - E non è egli perito, peritissimo, anzi, d'innesti immortali, cioè degni di fama immortale, voglio dire di innesti che ordinariamente non usano frai mortali, ma che immancabilmente usano frai supermortali, come lui?
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Intanto - visto e considerato che nessuno Elleno antico si accorge di lui, e che l'unico antico Greco cui egli ha rivolto la parola gli ha voltato le spalle, dopo di essersi inutilmente sgolato deliziando col suo canto cornacchie, rane ed asini olimpiani, immaginando di trovar miglior sorte in altri lidi - il Divo scioglie le vele verso Delo. Lungo il viaggio gli appare improvviso il Parnaso. Egli ha così la fortuna di conoscere de visu le Castalidi - «dal petto largo e dalle mammelle piccole e dure» - e di più la «decima Musa» che egli chiama Euplete, Euretria, Energeja - ed è la sua musa, alla quale il debole, l'effeminato «moltiplicator delle sue forze» chiede la forza che non possiede, specie quella delle reni che non ha mai avuta, e che la decima musa - la quale è solo un vuoto nome - rettoricamente gli conferisce.
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