) - Ma, in quel momento, egli ode il canto della cicala che ha portata via da Olimpia in una gabbia di giunco.... - La grande conquista! Ma gli è che in quella cicala egli scorge la sua immagine fedele di seccante, monotono cantorino. - La cicala canta, ed allora egli si tace, cedendo l'alto ufficio al suo alter-ego; ma perchè i superuomini dell'avvenire non ne siano defraudati, egli rifà quel canto, cicaleggiando come mai. Tace la cicala ed egli ripiglia il suo interrotto cantillare; e canta le baje che egli e i suoi compagni hanno esplorate, ora «stando chini sull'acqua, ove la loro ombra appariva un miracolo verde»; ora «stando, sottovento, seduti fuori banda sopra gli scalmi, coi piedi immersi nelle onde». - Che comode e deliziose «esplorazioni» coteste! Che cose belle! che cose belle! che cose belle! e gloriose, anzi! - Ma - questo è certo - è di siffatte cose che si occupano e cantano i superuomini. E il mondo dovrebbe sospendere i suoi affari e i suoi moti e starsene silenzioso ad udirli in rapimento!
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Ma ecco, il D'Annunzio già fatto suddito di Giove, elléno autentico e contemporaneo di Pindaro, anzi di Ulisse, ecco, dico, ritorna dall'Ellade santa alle città «terribili» moderne, dove si direbbe che non sia mai stato, o delle quali, per lo meno, abbia perduto il ricordo, così grandi sono le sue scoperte e le sue sorprese. - Egli vede - (e, pare, per la prima volta) - che le vie delle moderne «terribili» città sono lastricate, e vede - orribile cosa!
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