La somma scroccata salì a lire 15800! I più umili posti, quelli del loggione, erano stati pagati dieci lire ciascuno!
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Ma passiamo a cose più allegre.
Quando la sera del 28 ottobre 1906 il divo Gabriele entrò nel palcoscenico del Costanzi, ancora quasi deserto e bujo, erano le ore 21 precise. Fatemi grazia di questo particolare per sè stesso insignificante, ma significantissimo trattandosi di un Grande, la cui vita, che è un tessuto di atti meravigliosi, vuol essere narrata per ore e per minuti, in modo che ognuno possa rappresentarselo e vederlo in tutte le sue funzioni corporali e spirituali, in tutte le sue pose, parole, atti, respiri e sospiri.
All'odor d'ambrosia che Gabriele spande attorno a sè - (e come no, poichè egli è divo?) - gli adoratori accorrono a lui e gli fan cerchio. All'improvviso l'orchestra della sala comincia a sonare una polka.
Il D'Annunzio salta poco divamente dalla ingrata sorpresa e dice accigliato: «Oh come! Per le mie rappresentazioni non si è mai sonato!»
Quale profanazione!
Gli astanti, all'orror di Gabriele, prendono tutti il medesimo atteggiamento del Divo: si direbbero dei cortigiani che modellano il loro volto su quello del loro re. - Riavutosi dal suo fittizio orrore il cavaliere Morichini, direttore, impone al signor Santucci, ispettore del palcoscenico, di far cessare quei sagrileghi suoni profanatori. - (L'orchestra aveva ricevuto l'ordine di sonare dal signor Santucci). Costui, nell'imbarazzo, anzi nello sgomento, balbetta: «È stato un errore.
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