Era una grande débâcle; era la miseranda fine di Corrado Brando, di Virginio Vesta e di Maria Vesta, i quali travolgevano nella loro caduta tre innocenti vittime della loro incongruenza, della loro miseria intellettuale e morale: la signora Ines Cristina, il signor Ciro Galvani e, il più disgraziato trai tre, il signor Ermete Zacconi.
Costui, muto, pallido, squallido, disfatto, sudato, inabissato, passa fra due file di giornalisti e d'impiegati e va a nascondersi nel suo camerino. La signora Cristina, che s'era - chi lo crederebbe? - impappinata due volte a causa dello spavento, adesso dubita della sincerità degli applausi fattile nel principio del 2° atto, e, sudata, affannata e scapigliata, va anch'essa a rifugiarsi nel suo camerino desiosa, magari, di riudire la molesta voce del venditore: «Il più forte per un soldo!»: ma quel venditore, a quell'ora, era andato a dormire. - Il Galvani non era meno disfatto dei suoi compagni di sventura; pure, egli trovava la forza di chiedere un'altra volta a Re Riccardi: Ma la mi dica, su, la mi dica! È poi vero che la mia voce non giungeva alla platea?
E intanto tutte le teste sono chinate; tutti han perduto l'uso della parola; tutti sono immersi in un assiduo, tormentoso pensiero: Che dirà, che farà il Divo?
Solo il contabile è raggiante di gioja. Egli si caccia in mezzo a quella gente disfatta, gridando:
«Che successone! Che successone! Quindici mila, ottocento lire d'incasso!!!»
LA PIÙ NOBILE OPERA DI GABRIELEI.
Parla Gabriele:
«Più che l'amore è un Poema di libertà»(5) - di quella libertà che non conosce confine, perchè può tutto dire e tutto fare, ed è, quindi, prerogativa del delinquente, del gorilla e del Superuomo.
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