e d'altro ancorodor.
Quei suoi ladruncoli - dico - egli se li vede prosternati, come sempre, dinanzi, tutti intenti ad espiare colla loro umiliazione fedele e devota l'oltraggio a lui fatto dagli «schiavi» che lo hanno fischiato, che hanno schifo di accostarsi ai suoi banchetti putenti di carne pregna di acre sudore, e i frutti dei suoi alberi gettano agli eunuchi pei quali egli li ha coltivati. Sì, i poveracci e i ladruncoli contro cui se l'è presa - egli ben se ne avvede - sono i dannunziani.... Ahimè! Ma può egli dar di frego ad un periodo che gli è venuto fuori così bello? - «In nome di qual principe....» - e se lo ripete le due, le quattro volte. Oh! come è bello! - «.... i poveracci che si sfamano.... i ladruncoli che trafugano....» Bello! Bello! - «In nome di qual principe degno d'esser nato e coronato re....» Bello! Bello! Bello! - E pensa: Ma che diranno i miei adoratori di me che in sì indegno modo li tratto?... Che diranno?... - Ma non diranno niente... Non son essi dei cretinoidi? Non è dalla loro bocca, infatti, che esce quel coro di lodi al mio indirizzo? Ecco! Ecco! Quello là non è Menico Oliva, che, deputato da loro e in nome di tutti loro, dà addosso ai miei «schiavi ribelli»? Uditelo! Uditelo!
-- O invidi della gloria del Divo, o voi che lo avete fischiato, quanto più alta la piccioletta persona del Poeta si sarà elevata nel concetto dei contemporanei....
- D'Annunzio tra sè: cioè, nel concetto dei miei moretti e dei femminaccioli letteruti.
-- ... quanto più vasta ne sarà la fama.
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