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      Ora, l'avere rapito il fuoco al sole per farne dono agli uomini da lui precedentemente plasmati di terra e d'acqua, non è un crimine, sibbene un atto eroico. E domando: i tre volgari delitti consumati dal Brando, cioè, la seduzione di Maria Vesta sorella dell'amico suo, l'omicidio che egli commette in persona di un biscacciere, l'impadronirsi che egli fa della costui cassa-forte affine di procurarsi i mezzi per una piccola e dubbia impresa destituita d'ogni utilità sociale, che cosa hanno da vedere col sublime atto di Prometeo per eccellenza umanitario, anzi indispensabile all'esistenza stessa dell'Umanità? Se in vece di un motivo tutto personale, quale è il suo vivo ma sciocco desiderio di appurare se il fiume Omo appartenga o no al bacino del Nilo, dal quale appuramento egli s'impromette una gloriola d'incerto valore, Brando compisse quei suoi tre atti per il bene di tutti, allora, sì, Brando si assomiglierebbe in un certo modo, e pur sempre da lontano, a Prometeo, e i suoi tre atti, anzichè dei crimini, sarebbero tre azioni encomiabili rispetto al loro scopo e presso che eroiche. La falsità e puerilità dell'eroe dannunziano appare, dunque, dalle stesse parole dell'Immaginifico: tra Brando e Prometeo non ávvi nè ravvicinamento nè somiglianza, neppure lontana. Più che l'amore non interpreta il mito di Prometeo. Vorremmo dire che lo trasfigura e lo impicciolisce? Ma, anche dicendo così, noi faremmo a cotesto centone di declamazioni puerilmente rettoriche fin troppo onore, poichè nell'eroe di Più che l'amore non troviamo che uno di quegli «eroi» da cronaca nera, le cui gesta hanno il loro epilogo o alla Corte d'Assise o al manicomio.


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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