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- Il quale, ancora una volta, si pone a invocare il «suo démone» (?) così:
«Concedimi che in questa tragedia io termini di scolpire la mia propria statua, secondo le leggi che mi assegnasti tu stesso».
E il demone ha esaudito la sua preghiera: G. D'Annunzio ha finito di scolpire la sua statua. La quale, già abozzata in Settala, in Leonardo, in Flamma, in Cantelmo, in Effrena, eccola ora, tutta perfetta, limata e lisciata, in Corrado Brando. Che ascensione in discesa! Che tonfo nelle allegre acque del ridicolo! Che trionfo a suon d'urli e di fischi! - Giù il cappello e inchinatevi - (ma non ridete, mi raccomando!) - inchinatevi davanti alla statua-auto-ritratto che - secondo le leggi assegnategli dal suo démone - il Divo ha scolpito a se stesso!
L'«IMPRONTA» D'UN'IMPRESA LONTANAE «L'ODORE DEL SUD»
G. D'Annunzio, che cura così femminilmente e cocottamente le sue vesti fin nei più piccoli particolari, fin nella forma e nella grandezza dei bottoni e degli occhielli, fin nell'altezza dei tacchi, fin nei colori delle calze, fin nell'odore dei suoi guanti, ed ha un ricco e vero corredo muliebre di camicie, di mutande, di colletti, di fazzoletti e di profumi, non tratta diversamente i prodotti del suo ingegno portentoso, davvero portentoso per le superfluità ornamentali con cui riesce a dar loro una consistenza apparente. Così accade che, se voi dispogliate quei suoi prodotti di tutto il ciarpame rettorico e verboso di cui egli li ha paludati alla maniera che le sarte fanno coi loro mannequins, che cosa resta di loro?
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