L'invenzione ne è comune e volgare. La fantasia dell'Immaginifico, di solito così frondosa, qui è frondosa e banale; e qui, l'oro, l'argento, il meriggio, il tramonto, il cielo, il mare, la primavera, le chiare ombre, il ferro ardente, i fiori rari, gli splendori mai visti, con sopra a tutte queste cose uno strato d'amori bestiali, fanno un grottesco miscuglio sul quale l'occhio dello spettatore idoneo non si riposa, ma che appaga - e come! - l'occhio degli spettatori-barbieri che la vista di cosiffatto miscuglio libera dalla - per essi - insopportabile fatica del pensare. E ad incatenar l'occhio, questo strumento dei colori e delle superficie, per via delle scene dipinte anzichè delle scene agite (che sono il gran deficit di questa Figlia di Jorio, come di ogni dramma e di ogni romanzo dell'Immaginifico senza fantasia) il Divo si associò al Michetti, al Ferraguti, al Rovescalli, tre maestri del pennello, che dettero al dramma i colori della natura locale di cui esso difetta, non essendo i personaggi che vi recitano contadini di Pescara, come esser dovrebbero, nè tampoco di Cianciana, ma dei letteratucoli e delle letteratucole vestiti in splendidi indumenti contadineschi di un ignoto paese, i quali si mostrano in pubblico a dar prova della loro grande valentia nella lingua e nello stile del nostro superuomo.
Come parla Mila:
Ah! voce di cielo, nel mezzodell'anima mia sempre udita!
Come parla Favetta:
I mietitori il gran sole gl'impazzae come cani abbajano a chi passa.
Come parla Splendore:
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