Ed è questa - credo - la ragione per cui un tal Passerini, suo amico e ammiratore, ha compilato due voluminosi dizionarî - (più di mille pagine!) -per ajutare il lettore a comprendere il cinese del D'Annunzio.(16)
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L'ultima cosa alla quale ponga mente il D'Annunzio è quella di scrivere l'opera da lui annunziata al suono di mille trombe e di mille campane. A lui urge innanzi tutto trovare un titolo che - (dica molto o dica nulla) - sia nuovo e sopratutto strano: Terra vergine - San Pantaleone - Il Piacere - L'Isotteo - La Chimera - Trionfo della morte - Poema paradisiaco - Le Vergini delle rocce - Più che l'amore - Fuoco - La città morta - Sogno d'un mattino di primavera - Sogno d'un tramonto d'autunno - La nave - La fiaccola sotto il moggio - Caprifoglio, e così via. Trovato il titolo, egli lo comunica all'esercito dei suoi moretti, e, ventiquattro ore dopo, tutto il mondo sa che il Divo lavora indefessamente ed anche misteriosamente attorno a un nuovo romanzo, che si intitolerà l'Ortica, o pure attorno ad un nuovo dramma, che si intitolerà la Cantaride, il quale dramma o il quale romanzo sarà prova ancora una volta della «fecondità», della «originalità», della «inesauribilità del suo genio sovrano». - Ma egli non lavora punto, o meglio, egli lavora solo intorno alla etichetta, o meglio ancora, attorno ai pennacchi e ai belletti sotto ai quali egli farà passare per capolavoro una delle sue solite diarree di parole pellegrine che non dicono niente, o che dicono solo porcheriole e storielle da bordelli signorili.
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