Per tre, per quattro, per sei mesi, egli non lascia passare un giorno, da quello in cui ha letificato il mondo con l'annunzio della sua nuova opera, senza che i suoi moretti si occupino di lui come vuole lui, cioè in una maniera mirabolante che giunge sino al grottesco e al ridicolo: e pour cause, perchè il grottesco e il ridicolo fanno assai chiasso, e i mille, i diecimila lettorelli del soffietto o dell'aneddoto dannunziano in ogni ufficio dove lavorano, in ogni salotto dove conversano lo scodellano ai loro colleghi, ai loro amici, e costoro, alla loro volta, fanno lo stesso coi loro amici e coi loro colleghi di altri ufficî e di altri salotti. Si ride? E che importa al D'Annunzio se di lui si ride? Ciò che gl'importa è che tutti si occupino di lui, facciano il nome di lui più volte in un giorno e per tre, per quattro, per sei mesi di séguito. Ciò entra nel suo calcolo: quando parecchi milioni di sfaccendati si occupano di lui, l'ora verrà che centomila sciocchi popolino successivamente i teatri d'Italia alla rappresentazione della sua Cantaride o che comprino in tutte le città d'Italia il suo romanzo l'Ortica. La réclame - il D'Annunzio lo sa - serve a trarre nella trappola gli sciocchi; essa inocula negli sciocchi una specie di ossessione da cui costoro non riescono a liberarsi che comprando a caro prezzo il diritto di entrata al teatro, o comprando a caro prezzo il volume.
Oh! che si scherza? Quattro o sei mesi di attesa di un'opera di cui ogni giorno i giornali - a mezzo dei moretti - levano alle stelle le «divine bellezze»! Quale sciocco non cadrà nella pania?
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