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      », sentendo ventilare la sua speranza al soffio del suo desiderio - (il che, dentro parentesi, vuol dire che egli soltanto in francese avrebbe concepito e scritto questo suo «mirabile» lavoro!) - «Ô art de France!» - E chiama sè «operaio pellegrino in esilio»; ed ha la modestia di aggiungere: «che balbetta - (ed è vero!) - nella lingua dell'Oil, come già Brunetto Latini.» E chiama «troppo duro» il suo nome per potersi incastrare nella reticella di piombo delle sue cinque Vetrate rosse e turchine, dipinte nella lingua dell'Oil, il quale suo nome «è pur così dolce nella lingua del Sì». E presenta al pubblico l'altro operaio - Claudio Debussy - il cui nome - (udite!) - «suona come le nuove foglie suonano sotto la pioggia nuova in un verziere dell'Isola di Francia, nel quale verziere i mandorli senza mandorle illuminano l'erba all'intorno in un boschetto di San Germano, il quale boschetto di San Germano si sovviene di Gabriella d'Estrées, del re Fauno (Errico IV) e del loro amore», che fu scandalosissimo. E questo egli ricorda a proposito del martirio di San Sebastiano!
      Eccetera.
      E tutto il Mistero - diviso in cinque Vetrate - procede monotonamente così, pieno della freddezza insipida, leccata, inamidata del Divo fabbricatore di toilettes nelle quali ogni spillo, ogni uncino, ogni nastro, ogni cosa futile è, sì, a posto; di toilettes, sì, che non fanno una grinza perchè non ci son dentro delle creature vive, ma dei mannequins.
     
     *

      Questo pasticcio senza architettura e senza armonia interiore, senza azione e senza calore - eccetto che nella mimica dei balli danzati dal Santo, ossia dalla Rubinstein, la quale casca ad ogni momento nel lascivo - è così impotente da per sè a produrre un qualche effetto, che il Divo lo ha puntellato con lunghe, prolisse didascalie, affinchè il lettore sappia quando ha da ammirare, quando da piangere e da esaltarsi, ed è riuscito col lusso orientale delle scene e delle vesti ad occupare l'occhio degli spettatori, nella speranza che la loro bocca non si aprisse allo sbadiglio.


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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