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      «Che io non sperimenti la malattia ignobile, la pesante vecchiezza, la vergogna della tarda carne....» -Questo lo dico io, la mia penna non c'entra. E s'io non fossi un vanitoso parolaio e uno sfacciato bugiardo, voi non dovreste attender molto la notizia che io, per isfuggire a quella ignobile malattia che è la pesante vecchiezza, mi sarò gettato in questo mare con una pietra al collo, per divenire qualche cosa di ricco e di strano. Quanto alla vergogna della tarda carne, ormai è già da tantissimi anni ch'io la sopporto eroicamente, illudendomi di poterla nascondere costruendo, senza mai stancarmi, quelle famose marionette che sono i «miei eroi» e le «mie eroine» così bene addestrati nelle lizze d'amore, alle quali si abbandonano combattendo solo colla lingua. «In quel tempo... - (nel tempo che gli occhi piccoli e senza bellezza di Enotrio s'ingrandivano allorchè si fissavano sulla mia giovinissima e bellissima carne)... io avevo in me lucido il presagio ch'io mi sarei partito dal mondo prima del mio trentesimo anno». - E dico lucido quel mio presagio perchè, è vero, sì, ch'io ho già passato di molto la trentina e son tuttavia vivo; ma è certo che il bel Narciso che tutti trovavano in me, a trent'anni era già morto. - Dopo... - (dopo che in me fu morto Narciso) - ... animale accomodativo, come ogni altro uomo... - (allora io non ero ancor superuomo) - ...soffersi di oltrepassare quel termine per nove anni ancora, illuso... - (cioè, ingannato) - dalla sensibilità sempre vigile e dal sempre più ansioso amore dell'opera», precisamente come accade ai vecchi, la cui sensualità si acuisce in proporzione diretta della loro crescente impotenza, e nei quali l'amore per quella tale opera si fa sempre tanto più ansioso quanto più si fa minore in ess


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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