i la possibilità di appagarlo. Ma queste cose io le dico a me solo: non posso nè voglio dirle in pubblico; in pubblico, invece, prendendo una delle mie solite pose olimpiche, dirò: «A Te, Arte! A Te, Gloria!» - Commentate: poichè a trent'anni Narciso moriva in me, così io soffersi di vivere sino ad oggi per l'Arte e per la Gloria. Sì, io lo soffersi! Chi altri lo avrebbe sofferto? Vivere per l'Arte e, specie, per la Gloria..., ci ha, forse, una più grande sofferenza di questa? - Ma, intanto, Enotrio.... Che ne è dello spirito di Enotrio ritornante al suo luogo natale? Lo avete, per caso, veduto a bere in qualche bettola? o a giocare allo scopone, lui che non era solito cercar farfalle sotto l'arco di Tito? - Quando ancora io ero Narciso, Enotrio.... Ma non posso pensarci, ohimè!... - «Da che cosa potria mai l'anima.... (in questo momento mi conviene credere all'esistenza dell'anima) - .... esser consolata dal non più abitare un corpo di venticinque anni? Non io darei, forse... - Sgrammatico? Vorreste ch'io dicessi: Non darei io forse... Ma io sono anche un supergrammantico, e perciò dico: «Non io darei, forse, il più robusto dei miei libri per rinnovare in me un'ora della freschezza primiera?», per ridivenire, cioè, per un'ora, il bel Narciso ch'io fui dai diciotto ai venticinque anni? - «Il più robusto, ho detto, dei miei libri», cioè, il più grosso e perciò il più pesante. Qual è ? Ma se tutto quello che ha scritto la mia penna, col mio e senza il mio consentimento, è piccolo, leggiadro, elegante e perciò leggiero, come è leggiera, elegante, leggiadra e piccioletta la mia carne?
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