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      - Ero Adone, anzi Narciso. - «Enotrio era nell'atteggiamento che Giovanni Villani avrebbe chiamato bizzarra selvatichezza». Io lo studiai con una sola occhiata. «Di nobile egli non aveva altro che le mani, tutto il resto era in lui popolesco», idest, plebeo. «In lui non era - contrariamente a quanto i pappagalli lusingatori avevano detto e ripetuto migliaja di volte - nessun vestigio romano. Egli mi ricordava quegli Etruschi dalle gambe smilze e dallo stomaco prominente, che si veggono accosciati sui coperchi delle urne funerarie». - Qualcosa di brutto e di ributtante, come è brutta e ributtante la sfacciata menzogna che lo voleva eroe e leone. Vi dirò che la sua vista metteva in me un irresistibile bisogno di ridere, o di prenderlo pel ganascino e gridargli sul ceffo: Buffone! Ma voi vorreste dirmi che anche nel disgraziato corpo di Triboulet c'è un'anima, e, quindi, vorreste ch'io vi dicessi alcun che delle qualità interiori di Enotrio. Ma - voi lo sapete - io non vedo, io non so vedere che solo il di fuori delle cose e delle persone. Chi e che cosa fosse spiritualmente il Carducci io non seppi, non so, non saprò mai, nè mi cale di saperlo. Il Carducci ch'io conobbi... - (e non so che ci sia stato altro Carducci che quello) - «aveva le labbra sottili e serrate, curve in giù agli angoli come quelle che coprono una dentatura atta alla forte presa», come quella dei cani corsi. «L'appiccatura dei capelli, folta sulla tempia fin verso l'estremità del sopracciglio, pareva serrare.


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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