2. FAVOLA. Vedendo il lauro e mirto tagliare il pero, con alta voce gridarono: "O pero, ove vai tu? Ov'è la superbia che avevi quando avevi i tua maturi frutti? Ora non ci farai tu ombra colle tue folte chiome". Allora il pero rispose: "Io ne vo coll'agricola che mi taglia, e mi porterà alla bottega d'ottimo scultore, il quale mi farà con su' arte pigliare la forma di Giove iddio, e sarò dedicato nel tempio, e dagli omini adorato invece di Giove, e tu ti metti in punto a rimanere ispesso storpiata e pelata de' tua rami, i quali mi fieno da li omini per onorarmi posti d'intorno".
3. FAVOLA. Vedendo il castagno l'uomo sopra il fico, il quale piegava inverso a sé i sua rami, e di quelli ispiccava i maturi frutti, e quali metteva nell'aperta bocca disfacendoli e disertandoli coi duri denti, crollando i lunghi rami e con temultevole mormorio disse: "O fico, quanto se' tu men di me obrigato alla natura! Vedi come in me ordinò serrati i mia dolci figlioli, prima vestiti di sottile camicia, sopra la quale è posta la dura e foderata pelle, e non contentandosi di tanto benificarmi, ch'ell'ha fatto loro la forte abitazione e sopra quella fondò acute e folte spine, a ciò che le mani dell'omo non mi possino nuocere". Allora il fico cominciò insieme co' sua figlioli a ridere, e ferme le risa, disse: "Conosci l'omo essere di tale ingegno, che lui ti sappi colle pertiche e pietre e sterpi, tratti infra i tua rami, farti povero de' tua frutti, e quelli caduti, peste co' piedi o co' sassi, in modo ch'e frutti
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Giove Giove
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