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      Atlante. Lasciamela per tutte le corna dello Stige, che io me la raccomodi sulle spalle; e tu ripiglia la clava, e torna subito in cielo a scusarmi con Giove di questo caso, ch'è seguito per tua cagione.
      Ercole. Così farò. È molti secoli che sta in casa di mio padre un certo poeta, di nome Orazio, ammessoci come poeta di corte ad instanza di Augusto, che era stato deificato da Giove per considerazioni che si dovettero avere alla potenza dei Romani. Questo poeta va canticchiando certe sue canzonette, e fra l'altre una dove dice che l'uomo giusto non si muove se ben cade il mondo. Crederò che oggi tutti gli uomini sieno giusti, perché il mondo è caduto, e niuno s'è mosso.
      Atlante. Chi dubita della giustizia degli uomini? Ma tu non istare a perder più tempo, e corri su presto a scolparmi con tuo padre, ché io m'aspetto di momento in momento un fulmine che mi trasformi di Atlante in Etna.
      DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTEModa. Madama Morte, madama Morte.
      Morte. Aspetta che sia l'ora, e verrò senza che tu mi chiami.
      Moda. Madama Morte.
      Morte. Vattene col diavolo. Verrò quando tu non vorrai.
      Moda. Come se io non fossi immortale.
      Morte. Immortale?
      Passato è già più che 'l millesim'annoche sono finiti i tempi degl'immortali.
      Moda. Anche Madama petrarcheggia come fosse un lirico italiano del cinque o dell'ottocento?
      Morte. Ho care le rime del Petrarca, perché vi trovo il mio Trionfo, e perché parlano di me quasi da per tutto. Ma in somma levamiti d'attorno.
      Moda. Via, per l'amore che tu porti ai sette vizi capitali, fermati tanto o quanto, e guardami.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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