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      Terra. Senti tu questo suono piacevolissimo che fanno i corpi celesti coi loro moti?
      Luna. A dirti il vero, io non sento nulla.
      Terra. Né pur io sento nulla, fuorché lo strepito del vento che va da' miei poli all'equatore, e dall'equatore ai poli, e non mostra saper niente di musica. Ma Pitagora dice che le sfere celesti fanno un certo suono così dolce ch'è una maraviglia; e che anche tu vi hai la tua parte e sei l'ottava corda di questa lira universale: ma che io sono assordata dal suono stesso, e però non l'odo.
      Luna. Anch'io senza fallo sono assordata; e, come ho detto, non l'odo: e non so di essere una corda.
      Terra. Dunque mutiamo proposito. Dimmi: sei tu popolata veramente, come affermano e giurano mille filosofi antichi e moderni, da Orfeo sino al De la Lande? Ma io per quanto mi sforzi di allungare queste mie corna, che gli uomini chiamano monti e picchi; colla punta delle quali ti vengo mirando, a uso di lumacone; non arrivo a scoprire in te nessun abitante: se bene odo che un cotal Davide Fabricio, che vedeva meglio di Linceo, ne scoperse una volta certi, che spandevano un bucato al sole.
      Luna. Delle tue corna io non so che dire. Fatto sta che io sono abitata.
      Terra. Di che colore sono cotesti uomini?
      Luna. Che uomini?
      Terra. Quelli che tu contieni. Non dici tu d'essere abitata?
      Luna. Sì: e per questo?
      Terra. E per questo non saranno già tutte bestie gli abitatori tuoi.
      Luna. Né bestie né uomini; che io non so che razze di creature si sieno né gli uni né l'altre. E già di parecchie cose che tu mi sei venuta accennando, in proposito, a quel che io stimo, degli uomini, io non ho compreso un'acca.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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