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      E scusandosi che per la sua nota povertà non si poteva dimostrare così liberale come avrebbe voluto, prometteva in premio a quello il cui ritrovamento fosse giudicato più bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con privilegio di poterla portare in capo il dì e la notte, privatamente e pubblicamente, in città e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, gittato, figurato in qualunque modo e materia, col segno di quella corona dintorno al capo.
      Concorsero a questo premio non pochi dei celesti per passatempo; cosa non meno necessaria agli abitatori d'Ipernèfelo, che a quelli di altre città; senza alcun desiderio di quella corona; la quale in se non valeva il pregio di una berretta di stoppa; e in quanto alla gloria, se gli uomini, da poi che sono fatti filosofi, la disprezzano, si può congetturare che stima ne facciano gli Dei, tanto più sapienti degli uomini, anzi soli sapienti secondo Pitagora e Platone. Per tanto, con esempio unico e fino allora inaudito in simili casi di ricompense proposte ai più meritevoli, fu aggiudicato questo premio, senza intervento di sollecitazioni né di favori né di promesse occulte né di artifizi: e tre furono gli anteposti: cioè Bacco per l'invenzione del vino; Minerva per quella dell'olio, necessario alle unzioni delle quali gli Dei fanno quotidianamente uso dopo il bagno; e Vulcano per aver trovato una pentola di rame, detta economica, che serve a cuocere che che sia con piccolo fuoco e speditamente. Così, dovendosi fare il premio in tre parti, restava a ciascuno un ramuscello di lauro: ma tutti e tre ricusarono così la parte come il tutto; perché Vulcano allegò che stando il più del tempo al fuoco della fucina con gran fatica e sudore, gli sarebbe importunissimo quell'ingombro alla fronte; oltre che lo porrebbe in pericolo di essere abbrustolato o riarso, se per avventura qualche scintilla appigliandosi a quelle fronde secche, vi mettesse il fuoco.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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