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      Quei giovani poi, che sono dediti alle lettere, antepongono facilmente, come nello scrivere, così nel giudicare gli scritti altrui, l'eccessivo al moderato, il superbo o il vezzoso dei modi e degli ornamenti al semplice e al naturale, e le bellezze fallaci alle vere; parte per la poca esperienza, parte per l'impeto dell'età. Onde i giovani, i quali senza alcun fallo sono la parte degli uomini più disposta a lodare quello che loro apparisce buono, come più veraci e candidi; rade volte sono atti a gustare la matura e compiuta bontà delle opere letterarie. Col progresso degli anni, cresce quell'attitudine che vien dall'arte, e decresce la naturale. Nondimeno ambedue son necessarie all'effetto.
      Chiunque poi vive in città grande, per molto che egli sia da natura caldo e svegliato di cuore e d'immaginativa, io non so (eccetto se, ad esempio tuo, non trapassa in solitudine il più del tempo) come possa mai ricevere dalle bellezze o della natura o delle lettere, alcun sentimento tenero o generoso, alcun'immagine sublime o leggiadra. Perciocché poche cose sono tanto contrarie a quello stato dell'animo che ci fa capaci di tali diletti, quanto la conversazione di questi uomini, lo strepito di questi luoghi, lo spettacolo della magnificenza vana, della leggerezza delle menti, della falsità perpetua, delle cure misere e dell'ozio più misero, che vi regnano. Quanto al volgo dei letterati, sto per dire che quello delle città grandi sappia meno far giudizio dei libri, che non sa quello delle città piccole: perché nelle grandi come le altre cose sono per lo più false e vane, così la letteratura comunemente è falsa e vana, o superficiale.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308