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      E non per questo è possibile che il mondo, in vederli procedere così spediti, affretti il cammino tanto, che giunga con loro o poco più tardi di loro, colà dove essi per ultimo si rimangono. Anzi non esce del suo passo; e non si conduce alcune volte a questo o a quel termine, se non solamente in ispazio di uno o di più secoli da poi che qualche alto spirito vi si fu condotto.
      È sentimento, si può dire, universale, che il sapere umano debba la maggior parte del suo progresso a quegl'ingegni supremi, che sorgono di tempo in tempo, quando uno quando altro, quasi miracoli di natura. Io per lo contrario stimo che esso debba agl'ingegni ordinari il più, agli straordinari pochissimo. Uno di questi, ponghiamo, fornito che egli ha colla dottrina lo spazio delle conoscenze de' suoi contemporanei, procede nel sapere, per dir così, dieci passi più innanzi. Ma gli altri uomini, non solo non si dispongono a seguitarlo, anzi il più delle volte, per tacere il peggio, si ridono del suo progresso. Intanto molti ingegni mediocri, forse in parte aiutandosi dei pensieri e delle scoperte di quel sommo, ma principalmente per mezzo degli studi propri, fanno congiuntamente un passo; nel che per la brevità dello spazio, cioè per la poca novità delle sentenze, ed anche per la moltitudine di quelli che ne sono autori, in capo di qualche anno, sono seguitati universalmente. Così, procedendo, giusta il consueto, a poco a poco, e per opera ed esempio di altri intelletti mediocri, gli uomini compiono finalmente il decimo passo; e le sentenze di quel sommo sono comunemente accettate per vere in tutte le nazioni civili.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308