Tanto dirai da parte nostra a chiunque si pensa di avere a morir di dolore in punto di morte.
Ruysch. Agli Epicurei forse potranno bastare coteste ragioni. Ma non a quelli che giudicano altrimenti della sostanza dell'anima; come ho fatto io per lo passato, e farò da ora innanzi molto maggiormente, avendo udito parlare e cantare i morti. Perché stimando che il morire consista in una separazione dell'anima dal corpo, non comprenderanno come queste due cose, congiunte e quasi conglutinate tra loro in modo, che constituiscono l'una e l'altra una sola persona, si possano separare senza una grandissima violenza, e un travaglio indicibile.
Morto. Dimmi: lo spirito è forse appiccato al corpo con qualche nervo, o con qualche muscolo o membrana, che di necessità si abbia a rompere quando lo spirito si parte? o forse è un membro del corpo, in modo che n'abbia a essere schiantato o reciso violentemente? Non vedi che l'anima in tanto esce di esso corpo, in quanto solo è impedita di rimanervi, e non v'ha più luogo; non già per nessuna forza che ne la strappi e sradichi? Dimmi ancora: forse nell'entrarvi, ella vi si sente conficcare o allacciare gagliardamente, o come tu dici, conglutinare? Perché dunque sentirà spiccarsi all'uscirne, o vogliamo dire proverà una sensazione veementissima? Abbi per fermo, che l'entrata e l'uscita dell'anima sono parimente quiete, facili e molli.
Ruysch. Dunque che cosa è la morte, se non è dolore?
Morto. Piuttosto piacere che altro. Sappi che il morire, come l'addormentarsi, non si fa in un solo istante, ma per gradi.
| |
Epicurei
|