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      E dimandandolo alcuni perché non prendesse a filosofare anche in iscritto, come soleva fare a voce, e non deponesse i suoi pensieri nelle carte, rispose: il leggere è un conversare, che si fa con chi scrisse. Ora, come nelle feste e nei sollazzi pubblici, quelli che non sono o non credono di esser parte dello spettacolo, prestissimo si annoiano, così nella conversazione è più grato generalmente il parlare che l'ascoltare. Ma i libri per necessità sono come quelle persone che stando cogli altri, parlano sempre esse, e non ascoltano mai. Per tanto è di bisogno che il libro dica molto buone e belle cose, e dicale molto bene; acciocché dai lettori gli sia perdonato quel parlar sempre. Altrimenti è forza che così venga in odio qualunque libro, come ogni parlatore insaziabile.
      CAPITOLO SECONDONon ammetteva distinzione dai negozi ai trastulli; e sempre che era stato occupato in qualunque cosa, per grave che ella fosse, diceva d'essersi trastullato. Solo se talvolta era stato qualche poco d'ora senza occupazione, confessava non avere avuto in quell'intervallo alcun passatempo.
      Diceva che i diletti più veri che abbia la nostra vita, sono quelli che nascono dalle immaginazioni false; e che i fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uomini il niente nel tutto.
      Assomigliava ciascuno de' piaceri chiamati comunemente reali, a un carciofo di cui, volendo arrivare alla castagna, bisognasse prima rodere e trangugiare tutte le foglie. E soggiungeva che questi tali carciofi sono anche rarissimi; che altri in gran numero se ne trovano, simili a questi nel di fuori, ma dentro senza castagna e che esso, potendosi difficilmente adattare a ingoiarsi le foglie, era contento per lo più di astenersi dagli uni e dagli altri.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308