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      Ma che passato un anno, nel quale, mantenendo il proposito fatto, non gli venne lodata né cosa né persona alcuna; temendo non si dimenticare al tutto, per mancamento di esercizio, quello che nella rettorica non molto prima aveva imparato circa il genere encomiastico o lodativo, ruppe il proposito; e indi a poco se ne rimosse totalmente.
      CAPITOLO SESTOUsava di farsi leggere quando un libro quando un altro, per lo più di scrittore antico; e interponeva alla lettura qualche suo detto, e quasi annotazioncella a voce, sopra questo o quel passo, di mano in mano. Udendo leggere nelle Vite dei filosofi scritte da Diogene Laerzio,(3) che interrogato Chilone in che differiscano gli addottrinati dagl'indotti, rispose che nelle buone speranze; disse: oggi è tutto l'opposto; perché gl'ignoranti sperano, e i conoscenti non isperano cosa alcuna.
      Similmente, leggendosi nelle dette Vite(4) come Socrate affermava essere al mondo un solo bene, e questo essere la scienza; e un solo male, e questo essere l'ignoranza; disse: della scienza e dell'ignoranza antica non so; ma oggi io volgerei questo detto al contrario.
      Nello stesso libro(5) riportandosi questo dogma della setta degli Egesiaci: il sapiente, che che egli si faccia, farà ogni cosa a suo beneficio proprio; disse: se tutti quelli che procedono in questo modo sono filosofi, oramai venga Platone, e riduca ad atto la sua repubblica in tutto il mondo civile.
      Commendava molto una sentenza di Bione boristenite, posta dal medesimo Laerzio,(6) che i più travagliati di tutti, sono quelli che cercano le maggiori felicità. E soggiungeva che, all'incontro, i più beati sono quelli che più si possono e sogliono pascere delle minime, e anco da poi che sono passate, rivolgerle e assaporarle a bell'agio colla memoria.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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