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      Le quali creature, comprendendole tutte insieme, e considerandole siccome distribuite in certi generi e certe specie, e congiunte tra se con certi tali ordini e certe tali relazioni che provengono dalla loro natura, si chiamano mondo. Ma imperciocché la detta forza non resta mai di operare e di modificar la materia, però quelle creature che essa continuamente forma, essa altresì le distrugge, formando della materia loro nuove creature. Insino a tanto che distruggendosi le creature individue, i generi nondimeno e le specie delle medesime si mantengono, o tutte o le più, e che gli ordini e le relazioni naturali delle cose non si cangiano o in tutto o nella più parte, si dice durare ancora quel cotal mondo. Ma infiniti mondi nello spazio infinito della eternità, essendo durati più o men tempo, finalmente sono venuti meno, perdutisi per li continui rivolgimenti della materia, cagionati dalla predetta forza, quei generi e quelle specie onde essi mondi si componevano, e mancate quelle relazioni e quegli ordini che li governavano. Né perciò la materia è venuta meno in qual si sia particella, ma solo sono mancati que' suoi tali modi di essere, succedendo immantinente a ciascuno di loro un altro modo, cioè un altro mondo, di mano in mano.
      DELLA FINE DEL MONDOQuesto mondo presente del quale gli uomini sono parte, cioè a dir l'una delle specie delle quali esso è composto, quanto tempo sia durato fin qui, non si può facilmente dire, come né anche si può conoscere quanto tempo esso sia per durare da questo innanzi.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308