Eleandro. Consento che non si giovi, e stimo che non si noccia. Ma credete voi che i libri possano giovare alla specie umana?
Timandro. Non solo io, ma tutto il mondo lo crede.
Eleandro. Che libri?
Timandro. Di più generi; ma specialmente del morale.
Eleandro. Questo non è creduto da tutto il mondo; perché io, fra gli altri, non lo credo; come rispose una donna a Socrate. Se alcun libro morale potesse giovare, io penso che gioverebbero massimamente i poetici: dico poetici, prendendo questo vocabolo largamente; cioè libri destinati a muovere la immaginazione; e intendo non meno di prose che di versi. Ora io fo poco stima di quella poesia che letta e meditata, non lascia al lettore nell'animo un tal sentimento nobile, che per mezz'ora, gl'impedisca di ammettere un pensier vile, e di fare un'azione indegna. Ma se il lettore manca di fede al suo principale amico un'ora dopo la lettura, io non disprezzo perciò quella tal poesia: perché altrimenti mi converrebbe disprezzare le più belle, più calde e più nobili poesie del mondo. Ed escludo poi da questo discorso i lettori che vivono in città grandi: i quali, in caso ancora che leggano attentamente, non possono essere giovati anche per mezz'ora, né molto dilettati né mossi, da alcuna sorta di poesia.
Timandro. Voi parlate, al solito vostro, malignamente, e in modo che date ad intendere di essere per l'ordinario molto male accolto e trattato dagli altri: perché questa il più delle volte è la causa del mal animo e del disprezzo che certi fanno professione di avere alla propria specie.
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Socrate
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