Eleandro. Veramente io non dico che gli uomini mi abbiano usato ed usino molto buon trattamento: massime che dicendo questo, io mi spaccerei per esempio unico. Né anche mi hanno fatto però gran male: perché, non desiderando niente da loro, né in concorrenza con loro, io non mi sono esposto alle loro offese più che tanto. Ben vi dico e vi accerto, che siccome io conosco e veggo apertissimamente di non saper fare una menoma parte di quello che si richiede a rendersi grato alle persone; e di essere quanto si possa mai dire inetto a conversare cogli altri, anzi alla stessa vita; per colpa o della mia natura o mia propria; però se gli uomini mi trattassero meglio di quello che fanno, io gli stimerei meno di quel che gli stimo.
Timandro. Dunque tanto più siete condannabile: perché l'odio, e la volontà di fare, per dir così, una vendetta degli uomini, essendone stato offeso a torto, avrebbe qualche scusa. Ma l'odio vostro, secondo che voi dite, non ha causa alcuna particolare; se non forse un'ambizione insolita e misera di acquistar fama dalla misantropia, come Timone: desiderio abbominevole in se, alieno poi specialmente da questo secolo, dedito sopra tutto alla filantropia.
Eleandro. Dell'ambizione non accade che io vi risponda; perché ho già detto che non desidero niente dagli uomini: e se questo non vi par credibile, benché sia vero; almeno dovete credere che l'ambizione non mi muova a scriver cose che oggi, come voi stesso affermate, partoriscono vituperio e non lode a chi le scrive.
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Timone
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