Ma quali sono poi, alla fine, coteste difficoltà?
Copernico. Primieramente, per grande che sia la potenza della filosofia, non mi assicuro che ella sia grande tanto, da persuadere alla Terra di darsi a correre, in cambio di stare a sedere agiatamente; e darsi ad affaticare, in vece di stare in ozio: massime a questi tempi; che non sono già i tempi eroici.
Sole. E se tu non la potrai persuadere, tu la sforzerai.
Copernico. Volentieri, illustrissimo, se io fossi un Ercole, o pure almanco un Orlando; e non un canonico di Varmia.
Sole. Che fa cotesto al caso? Non si racconta egli di un vostro matematico antico, il quale diceva che se gli fosse dato un luogo fuori del mondo, che stando egli in quello, si fidava di smuovere il cielo e la terra? Or tu non hai a smuovere il cielo; ed ecco che ti ritrovi in un luogo che è fuor della Terra. Dunque, se tu non sei da meno di quell'antico, non dee mancare che tu non la possa muovere, voglia essa o non voglia.
Copernico. Signor mio, cotesto si potrebbe fare: ma ci si richiederebbe una leva; la quale vorrebbe essere tanto lunga, che non solo io, ma vostra signoria illustrissima, quantunque ella sia ricca, non ha però tanto che bastasse a mezza la spesa della materia per farla, e della fattura. Un'altra difficoltà più grave è questa che io vi dirò adesso; anzi egli è come un groppo di difficoltà. La Terra insino a oggi ha tenuto la prima sede del mondo, che è a dire il mezzo; e (come voi sapete) stando ella immobile, e senza altro affare che guardarsi all'intorno, tutti gli altri globi dell'universo, non meno i più grandi che i più piccoli, e così gli splendenti come gli oscuri, le sono iti rotolandosi di sopra e di sotto e ai lati continuamente; con una fretta, una faccenda, una furia da sbalordirsi a pensarla.
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