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      Alla scuola e nei libri, siami stato lecito approvare i sentimenti di Platone e seguirli; poiché tale è l'usanza oggi: nella vita, non che gli approvi, io piuttosto gli abbomino. So ch'egli si dice che Platone spargesse negli scritti suoi quelle dottrine della vita avvenire, acciocché gli uomini, entrati in dubbio e in sospetto circa lo stato loro dopo la morte; per quella incertezza, e per timore di pene e di calamità futura, si ritenessero nella vita dal fare ingiustizia e dalle altre male opere.(1) Che se io stimassi che Platone fosse stato autore di questi dubbi, e di queste credenze; e che elle fossero sue invenzioni; io direi: tu vedi, Platone, quanto o la natura o il fato o la necessità, o qual si sia potenza autrice e signora dell'universo, è stata ed è perpetuamente inimica alla nostra specie. Alla quale molte, anzi innumerabili ragioni potranno contendere quella maggioranza che noi, per altri titoli, ci arroghiamo di avere tra gli animali; ma nessuna ragione si troverà che le tolga quel principato che l'antichissimo Omero le attribuiva; dico il principato della infelicità. Tuttavia la natura ci destinò per medicina di tutti i mali la morte: la quale da coloro che non molto usassero il discorso dell'intelletto, saria poco temuta; dagli altri desiderata. E sarebbe un conforto dolcissimo nella vita nostra, piena di tanti dolori, l'aspettazione e il pensiero del nostro fine. Tu con questo dubbio terribile, suscitato da te nelle menti degli uomini, hai tolta da questo pensiero ogni dolcezza, e fattolo il più amaro di tutti gli altri.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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