Pagina (222/308)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Di modo che la gravezza intollerabile della infelicità nostra, non da altro principalmente si dee riconoscere, che da questo dubbio di poter per avventura, troncando volontariamente la propria vita, incorrere in miseria maggiore che la presente. Né solo maggiore, ma di tanto ineffabile atrocità e lunghezza, che posto che il presente sia certo, e quelle pene incerte, nondimeno ragionevolmente debba il timore di quelle, senza proporzione o comparazione alcuna, prevalere al sentimento di ogni qual si voglia male di questa vita. Il qual dubbio, o Platone, ben fu a te agevole a suscitare; ma prima sarà venuta meno la stirpe degli uomini, che egli sia risoluto. Però nessuna cosa nacque, nessuna è per nascere in alcun tempo, così calamitosa e funesta alla specie umana, come l'ingegno tuo.
      Queste cose io direi, se credessi che Platone fosse stato autore o inventore di quelle dottrine; che io so benissimo che non fu. Ma in ogni modo, sopra questa materia s'è detto abbastanza, e io vorrei che noi la ponessimo da canto.
      Plotino. Porfirio, veramente, io amo Platone, come tu sai. Ma non è già per questo, che io voglia discorrere per autorità; massimamente poi teco e in una questione tale: ma io voglio discorrere per ragione. E se ho toccato così alla sfuggita quella tal sentenza platonica, io l'ho fatto più per usare come una sorta di proemio, che per altro. E ripigliando il ragionamento ch'io aveva in animo, dico che non Platone o qualche altro filosofo solamente, ma la natura stessa par che c'insegni che il levarci dal mondo di mera volontà nostra, non sia cosa lecita.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





Platone Platone Platone Platone