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      Non accade che io mi distenda circa questo articolo: perché se tu penserai un poco, non può essere che tu non conosca da te medesimo che l'uccidersi di propria mano senza necessità, è contro natura. Anzi, per dir meglio, è l'atto più contrario a natura, che si possa commettere. Perché tutto l'ordine delle cose saria sovvertito, se quelle si distruggessero da se stesse. E par che abbia repugnanza che uno si vaglia della vita a spegnere essa vita, che l'essere ci serva al non essere. Oltre che se pur cosa alcuna ci è ingiunta e comandata dalla natura, certo ci comanda ella strettissimamente e sopra tutto, e non solo agli uomini, ma parimente a qualsivoglia creatura dell'universo, di attendere alla conservazione propria, e di procurarla in tutti i modi; ch'è il contrario appunto dell'uccidersi. E senza altri argomenti, non sentiamo noi che la inclinazione nostra da per se stessa ci tira, e ci fa odiare la morte, e temerla, ed averne orrore, anche a dispetto nostro? Or dunque, poiché questo atto dell'uccidersi, è contrario a natura; e tanto contrario quanto noi veggiamo; io non mi saprei risolvere che fosse lecito.
      Porfirio. Io ho considerata già tutta questa parte: che, come tu hai detto, è impossibile che l'animo non la scorga, per ogni poco che uno si fermi a pensare sopra questo proposito. Mi pare che alle tue ragioni si possa rispondere con molte altre, e in più modi: ma studierò d'esser breve. Tu dubiti se ci sia lecito di morire senza necessità: io ti domando se ci è lecito di essere infelici.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308