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      La natura vieta l'uccidersi. Strano mi riuscirebbe che non avendo ella o volontà o potere di farmi né felice né libero da miseria, avesse facoltà di obbligarmi a vivere. Certo se la natura ci ha ingenerato amore della conservazione propria, e odio della morte; essa non ci ha dato meno odio della infelicità, e amore del nostro meglio; anzi tanto maggiori e tanto più principali queste ultime inclinazioni che quelle, quanto che la felicità è il fine di ogni nostro atto, e di ogni nostro amore e odio; e che non si fugge la morte, né la vita si ama, per se medesima, ma per rispetto e amore del nostro meglio, e odio del male e del danno nostro. Come dunque può esser contrario alla natura, che io fugga la infelicità in quel solo modo che hanno gli uomini di fuggirla? che è quello di tormi dal mondo: perché mentre son vivo, io non la posso schifare. E come sarà vero che la natura mi vieti di appigliarmi alla morte, che senza alcun dubbio è il mio meglio; e di ripudiar la vita, che manifestamente mi viene a esser dannosa e mala; poiché non mi può valere ad altro che a patire, e a questo per necessità mi vale e mi conduce in fatto?
      Plotino. A ogni modo queste cose non mi persuadono che l'uccidersi da se stesso non sia contro natura: perché il senso nostro porta troppo manifesta contrarietà e abborrimento alla morte: e noi veggiamo che le bestie; le quali (quando non sieno forzate dagli uomini o sviate) operano in ogni cosa naturalmente; non solo non vengono mai a questo atto, ma eziandio per quanto che sieno tribolate e misere, se ne dimostrano alienissime.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308