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      E per verità, un patimento solo e breve, che la persona fosse certa che, continuando essa a vivere, le dovesse accadere; saria sufficiente a fare che, secondo ragione, la morte fosse da anteporre alla vita: perché questo tal patimento non avrebbe compensazione alcuna; non potendo occorrere nella vita nostra un bene o un diletto vero.
      Porfirio. A me pare che la noia stessa, e il ritrovarsi privo di ogni speranza di stato e di fortuna migliore, sieno cause bastanti a ingenerar desiderio di finir la vita, anco a chi si trovi in istato e in fortuna, non solamente non cattiva, ma prospera. E più volte mi sono maravigliato che in nessun luogo si vegga fatta menzione di principi che sieno voluti morire per tedio solamente, e per sazietà dello stato proprio; come di genti private e si legge, e odesi tuttogiorno. Quali erano coloro che udito Egesia, filosofo cirenaico, recitare quelle sue lezioni della miseria della vita; uscendo della scuola, andavano e si uccidevano: onde esso Egesia fu detto per soprannome il persuasor di morire; e si dice, come credo che tu sappi, che all'ultimo il re Tolomeo gli vietò che non disputasse più oltre in quella materia.(3) Che se bene si trova di alcuni, come del re Mitridate, di Cleopatra, di Ottone romano, e forse di alquanti altri principi, che si uccisero da se stessi; questi tali si mossero per trovarsi allora in avversità e in miseria, e per isfuggirne di più gravi. Ora a me sarebbe paruto credibile che i principi più facilmente che gli altri, concepissero odio del loro stato, e fastidio di tutte le cose; e desiderassero di morire.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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