Il valore di questa nomenclatura a cui si riduce tutta quanta la morale effettiva, è già tanto conosciuto, che nessuna utilità ne viene dall'usarla. Perché non s'hanno da chiamare le cose coi loro nomi? Perché gl'insegnamenti veri ec s'hanno da tradurre nella lingua del falso? le parole moderne nelle parole antiche? Perché l'arte della scelleraggine (cioè del saper vivere) s'ha da trattare e scrivere col vocabolario della morale? Perché tutte le arti e scienze hanno da avere i loro termini propri, e più precisi che sia possibile, fuorché la più importante di tutte, ch'è quella del vivere? e questa ha da prendere in prestito la sua nomenclatura dall'arte sua contraria, cioè dalla morale, cioè dall'arte di non vivere?
A me parve che fosse naturale il non vergognarsi e il non fare difficoltà veruna di dire, quello che niuno si vergogna di fare, anzi che niuno confessa di non saper fare, e tutti si dolgono se realmente non lo sanno fare o non lo fanno. E mi parve che fosse tempo di dir le cose del tempo co' nomi loro: e d'esser chiaro nello scrivere come tutti oramai erano e molto più sono chiari nel fare: e com'era finalmente chiarissimo e perfettamente scoperto dagli uomini quel ch'è necessario di fare.
Sappi ch'io per natura, e da giovane più di molti altri, e poi anche sempre nell'ultimo fondo dell'anima mia, fui virtuoso, ed amai il bello, il grande, e l'onesto, prima sommamente, e poi, se non altro, grandemente. Né da giovane ricusai, anzi cercai l'occasione di mettere in pratica questi miei sentimenti, come ti mostrano le azioni da me fatte contro la tirannide, in pro della patria.
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