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      T. Oh che matti, oh che matti. Lasciami cercare un po' d'ombra, che questo sole mi cuoce. C. Vattene dove vuoi ch'io corro al fiume per bere. Si avverta di conservare l'impressione che deve produrre il discorrersi dell'uomo come razza già perduta e sparita dal mondo, e come di una rimembranza, dove consiste tutta l'originalità di questo Dialogo, per non confonderlo coi tanti altri componimenti satirici di questo genere dove si fa discorrere delle cose nostre o da forestieri, selvaggi ec. o da bestie, in somma da esseri posti fuori della nostra sfera. Si potrebbe anche fare un altro Dialogo tra un moderno e l'ombra gigantesca (dico gigantesca perché gli uomini in natura erano certo assai più grandi e robusti del presente come si sa degli antichi Germani e Galli) di un qualcuno vissuto naturalmente e prima della civilizzazione e dipingere la sua continua maraviglia nel sentire appoco appoco il gran cangiamento e snaturamento delle cose umane.
      DIALOGO DI UN CAVALLO E UN BUEC. Hai tu veduto quell'animale che ieri mi saltò a cavalcioni sulla groppa, e mi tenea forte per li crini, e per quanto m'adoperassi non ci fu caso di staccarmelo da dosso finattanto che non gli parve di lasciarmi andare? B. Che sorta di animale era? C. Mia nonna mi disse ch'era una scimia. Per me aveva creduto che fosse un uomo e questo m'avea messo una gran paura. B. Un uomo? che vale a dire un uomo? C. Una razza d'animali. Non hai saputo mai quello ch'erano gli uomini? B. Non gli ho mai visti ec. C. Neanch'io gli ho visti.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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