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      Ma basti di ciò.
      Laddove le soprascritte parole di Bruto s'hanno tutto giorno, si può dire, fra le mani; queste che soggiungerò di Teofrasto moribondo, non credo che uscissero mai delle scritture degli eruditi (dove anche non so il conto che se ne faccia), non ostante che sieno degnissime di considerazione, e che abbiano molta corrispondenza col detto di Bruto sì per la occasione in cui furono pronunziate, e sì per la sostanza loro. Diogene Laerzio le riferisce, copiando, per quello ch'io mi persuado, qualche scrittore più antico e più grave, com'è solito di fare. Dice dunque che Teofrasto venuto a morte e domandato da' suoi discepoli se lasciasse loro nessun ricordo o comandamento, rispose: Niuno; salvo che l'uomo disprezza e gitta molti piaceri a causa della gloria. Ma non così tosto incomincia a vivere, che la morte gli sopravviene. Perciò l'amore della gloria è così svantaggioso come che che sia. Vivete felici, e lasciate gli studi, che vogliono gran fatica; o coltivategli a dovere, che portano gran fama. Se non che la vanità della vita è maggiore che l'utilità. Per me non è più tempo a deliberare: voi altri considerate quello che sia più spediente. E così dicendo spirò.
      Altre cose dette da Teofrasto vicino a morte si trovano mentovate da Cicerone e da san Girolamo, e sono più divulgate; ma non fanno al nostro proposito. Per queste che abbiamo veduto si risolve che Teofrasto in età di sopra cent'anni; avendola spesa tutta a studiare e scrivere, e servire indefessamente alla fama; ridotto, come dice Suida, all'ultimo della vita per l'assiduità medesima dello scrivere; circondato da forse duemila discepoli, ch'è quanto dire seguaci e predicatori delle sue dottrine; riverito e magnificato per la sapienza da tutta la Grecia, moriva, diciamo così, penitente della gloria, come poi Bruto della virtù. Le quali due voci, gloria e virtù, non veramente oggi, ma fra gli antichi sonavano appresso a poco il medesimo.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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