) Ma che? abbiamo mutato natura affatto? non c'č pių gioia se non mezzo malinconica, non c'č pių ira, non c'č pių grandezza e altezza di pensieri, senza quel condimento di patetico ec. ec.? (E se la poesia č arte imitativa e il suo fine č il dilettare, nč deve imitare una cosa sola, nč una sola cosa diletta ec. E in genere non pare che il Breme faccia gran caso della natura e del fine della poesia che consiste in dilettare col mezzo della maraviglia prodotta dall'imitazione ec.) Ma queste son follie, di cui č soverchio parlare. A tener dietro con diligenza ai ragionamenti del Breme ci si scopre una contraddizione nascosta, ma realissima e fondamentale cosė del suo sistema come del romantico. Da principio dice che gli antichi credevano tutto e si persuadevano di mille pazzie, che l'ignoranza il timore i pregiudizi e somministravano allora gran materia alla loro poesia, e non possono pių somministrarne ai tempi nostri; insomma evidentemente par che venga a conchiudere, che la poesia nostra bisogna che sia ragionevole, e in proporzione coi lumi dell'etā nostra, e in fatti dice che ce la debbono somministrare la religione, la filosofia, le leggi di societā ec. ec. E cosė dicono i romantici. Ma se cosė č, ecco l'illusione sparita, e se il poeta non puō illudere non č pių poeta, e una poesia ragionevole, č lo stesso che dire una bestia ragionevole ec. ec. E i romantici, non che facciano la poesia ragionevole, vanno in cerca di mille superstizioni e delle pių pazze cose che si possano mai pensare: il Breme poi dice che l'immaginazione anche al presente ha la sua piena forza, e desidera di essere invasa rapita ec. e ANCHE sedotta (qui vi voleva) purchč non da cose AL TUTTO arbitrarie nč lontane da quel Vero ec.
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