E raccolgo che sia di Celso dalla facile eleganza o piuttosto facilità elegante tutta propria di Celso che si trova in vari luoghetti sparsi per tutto il brevissimo libricciuolo misti a un rimanente confuso, o inelegante, e anche barbaro e inintelligibile, il che dimostra l'altra parte del mio giudizio, cioè che questa non sia l'opera intera di Celso, come pare ch'abbia creduto il Fabricio l.4. c.8. fine p.506. fine, oltrechè come vedo nel Tiraboschi qui non si trova [35]tutto quello che Quintiliano cita dell'opera di Celso. Anche Curio Fortunaziano Retore nei Rettorici latini del Pithou, p.69. cita Celso. Trovo poi anche parecchi modi e parole che mi persuadono che il libretto sia cavato veramente da Celso, perchè sono frequenti e familiari sue nei libri della Medicina, p.e. §.3. Oratoris artibus nemo instrui potest, nisi cui ingenium et frequens studium est. Primum animi sit (assoluto) oportet quaedam naturalis ad videndas ediscendasque res potentia. Tum vox, (nota l'omissione del sit oportet, e la dipendenza di questo periodo dal precedente familiarissimo a Celso) latus, decor, valetudo, frugalitas, laboris patientia. E tutto il §. È di maniera affatto Celsiana. E §.4. Super hoc, per oltre a ciò, usitato da Celso, e la particella ubi per quando, allorchè, se, familiarissimo a Celso, e usata spesso qui pure, cioè §.9. e 10. tre volte, 11. Due volte, e 17. due volte. E §.10. Neque alienum est, ubi longior fuerit expositio vel narratio, extrema ita finire, ut admoneas quaecumque dixeris.
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