V. p.270. capoverso 1.
Chi non ha uno scopo non prova quasi mai diletto in nessuna operazione. Eccetto quelle che sono piacevoli per se stesse, e nell'atto, (e sono ben poche, e il piacere che danno è sommamente inferiore all'aspettazione) tutte le altre non sono dilettevoli se non fatte con uno scopo e una speranza, e un'aspettativa [269]di cosa non presente e che debba seguirne. Se bene molte di queste, o perchè lo scopo si venga conseguendo a ogni tratto, come nello studio, o perchè lo scopo sia tanto inerente e immedesimato con lei, che appena si lasci distinguere, sogliono esser confuse colle azioni dilettevoli per se stesse, quando non dilettano se non in quanto sono indirizzate a quel fine, e a quella speranza, tolte le quali cose restano indifferenti o noiose, come si può vedere considerando la stessa azione in due diversi individui.
La pura bellezza risultante da un'esatta e regolare convenienza, desta di rado le grandi passioni (come dice Montesquieu), per lo stesso motivo per cui la ragione è infinitamente meno forte ed efficace della natura. Quella bellezza è come una ragione, perciò non suppone vita nè calore, sia in se medesima, sia in chi la riguarda. Al contrario un volto o una persona difettosa ma viva, graziosa ec. o fornita di un animo capriccioso, sensibile ec. sorprende, riscalda, affetta e tocca il capriccio di chi la riguarda, senza regola, senza esattezza, senza ragione ec. ec. e così le grandi passioni nascono per lo più dal capriccio, dallo straordinario ec. e non si ponno giustificare colla ragione.
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Montesquieu
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