Ma così anche si vede che Teofrasto conoscendo le illusioni, non però [318]le fuggiva o le proscriveva come i nostri pazzi filosofi, ma le cercava e le amava, anzi si faceva biasimare dagli altri antichi filosofi, appunto perchè onorava le illusioni molto più di loro. Itaque miror quid in mentem [venerit] Theophrasto in eo libro quem De divitiis scripsit: in quo multa praeclare, illud absurde. Est enim multus in laudanda magnificentia et apparatione popularium munerum, taliumque sumtuum facultatem, fructum divitiarum putat. Cic. de offic.
Così si vede che appunto chi conosce e sente più profondamente e dolorosamente la vanità delle illusioni, le onora e desidera e predica più di tutti gli altri, come Rousseau, la Staël ec.
Che se Teofrasto vicino a morte le abbandonò e quasi le rinegò come Bruto, questo stesso è una prova di quanto le avesse amate perchè non si ripudia quello che non s'è mai amato, nè si abbandona quello che non s'è mai seguito. Nè si mente senza vantaggio in punto di morte ec.
(11. Nov. 1820.)
[319]Sovente ho desiderato con impazienza di possedere e gustare un bene già sicuro, non per avidità di esso bene, ma per solo timore di concepirne troppa speranza, e guastarlo coll'aspettativa. E questa tale impazienza, ho osservato che non veniva da riflessione, ma naturalmente, nel tempo ch'io andava fantasticando e congetturando sopra quel bene o diletto. E così anche naturalmente proccurava di distrarmi da quel pensiero. Se però l'abito generale di riflettere, o vero l'esperienza e la riflessione che mi aveano già precedentemente resa naturale la cognizione della vanità dei piaceri, e la diffidenza dell'aspettativa, non operavano allora in me senz'avvedermene, e non mi parvero natura.
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