2. c.98. sect.3. c.102. sect.3. c.105. sect.3. Dappertutto fa menzione dell'ozio, e sempre li trova inclinati anche a questo e non poco, sebbene sieno gli uomini più attivi di quel secolo. Cosa ignota agli antichi Eroi romani, i quali nell'ozio non trovavano nè potevano trovare nessun piacere. E infatti questo lineamento [475]nei ritratti sbozzati da Velleio non si trova prima del detto tempo che fu l'epoca della decisa e sviluppata corruzione de' Romani. Di Lucullo e di Antonio è cosa ben nota in questo proposito. (Di Scipione Emiliano parla bensì Velleio riguardo all'ozio, 1.13. sect.3. ma molto diversamente.) Notate dunque gli effetti dell'incivilimento e della corruzione. Notate quanto ella porti per sua natura all'inazione, all'ozio, e alla pigrizia: che anche gli uomini più splendidi e attivi, in questa condizione della società, inclinano naturalmente all'inazione. La causa è il piacere che nell'antico stato di Roma non si poteva trovar nell'ozio, e perciò l'uomo desiderando il piacere e la vita si dava necessariamente all'azione: e così accade in tutte le nazioni non ancora o mediocremente incivilite. La causa è pure l'egoismo, per cui l'uomo non si vuole scomodare a profitto altrui, se non quanto è necessario, o quanto giova a se stesso. La causa è la mancanza delle illusioni, delle idee di gloria, di grandezza di virtù di eroismo, ec. tolte le quali idee, deve sottentrar quella di non far nulla, lasciar correre le cose, e godere del presente. La causa [476]per ultimo nelle monarchie (come sotto Augusto) è la mancanza non solo delle illusioni, ma del principio di esse, non solo della vita dell'animo, ma della vita delle cose, cioè la mancanza di cose che realizzino e fomentino queste illusioni; la difficoltà o impossibilità di far cose grandi o importanti, e di essere o considerarsi come importante; la nullità, o piccolezza, e ristretta esistenza del suddito ancorchè innalzato a posti sublimi.
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