(17. Gen. 1821.)
Nisi quod magnae indolis signum est, sperare [523]semper. Floro IV. 8.
Sed quanto efficacior est fortuna quam virtus! et quam verum est quod moriens (Brutus) efflavit, "non in re, sed in verbo tantum esse virtutem." Floro IV. 7.
Floro IV. 6. Quid contra duos exercitus necesse fuit venire in cruentissimi foederis societatem? Trasponete l'interrogativo dopo exercitus. Così vuole il contesto, e anche la semplice osservazione di questo passo, perch'io non so come il venire in foederis societatem con due eserciti (di Antonio e di Lepido), s'abbia da poter dire contra duos exercitus. V. le ult. ediz. di Floro.
(18. Gen. 1821.)
Molto acutamente Floro dice di Antonio il triumviro: Desciscit in regem: nam aliter salvus esse non potuit, nisi confugisset ad servitutem. (IV. 3.) Ottimamente di un uomo corrotto e depravato come Antonio: non poteva essere se non signore o servo: libero e uguale agli [524]altri, non poteva. E così quasi tutti i Romani di quello e de' seguenti tempi: così la massima parte degli uomini d'oggidì. Non c'è altro stato che non convenga loro, fuorchè l'uguaglianza e la libertà. Non saprebbero se non regnare, o come fanno, servire. Ma servendo, sarebbero più adattati al regno che alla libertà. E tale è la natura degli uomini servi per carattere, e corrotti dall'incivilimento, spogli di virtù, di magnanimità, di entusiasmo, di sentimenti e passioni grandi forti e nobili, d'integrità, di coraggio, d'ingegno, di eroismo, capacità di sacrifizi, ec. ec. Tutte cose necessarie a mantenersi individualmente, e a mantenere relativamente e generalmente lo stato uguale e libero di un popolo.
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