Così nella speranza di qualche bene, quale non era la nostra inquietudine, i nostri timori, i nostri palpiti, le nostre angosce ad ogni piccolo ostacolo, o apparenza di difficoltà, che si opponesse al conseguimento della detta speranza!
E se poi l'oggetto stesso della speranza (ancorchè minimo, rispetto alle nostre opinioni presenti) non si conseguiva, quale non era la nostra disperazione! In maniera che forse in seguito, nelle più grandi sventure della vita, non abbiamo provato, nè proveremo mai tanto dolore e accoramento, come per quelle minime sventure fanciullesche.
[531]Lascio stare il timore e lo spavento proprio di quell'età (per mancanza di esperienza e sapere, e per forza d'immaginazione ancor vergine e fresca): timor di pericoli di ogni sorta, timore di vanità e chimere proprio solamente di quell'età, e di nessun'altra; timor delle larve, sogni, cadaveri, strepiti notturni, immagini reali, spaventose per quell'età e indifferenti poi, come maschere ec. ec. (V. il Saggio sugli Errori popolari degli antichi.) Quest'ultimo timore era così terribile in quell'età, che nessuna sventura, nessuno spavento, nessun pericolo per formidabile che sia, ha forza in altra età, di produrre in noi angosce, smanie, orrori, spasimi, travaglio insomma paragonabile a quello dei detti timori fanciulleschi. L'idea degli spettri, quel timore spirituale, soprannaturale, sacro, e di un altro mondo, che ci agitava frequentemente in quell'età, aveva un non so che di sì formidabile e smanioso, che non può esser paragonato con verun altro sentimento dispiacevole dell'uomo.
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Lascio Saggio Errori
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