Sarebbe lo stesso che voler considerare un uomo senza la facoltà del pensiero, la quale è parimente indipendente dagli accidenti. In questa ipotesi, sarà un altro [581]essere, ma non un uomo. Dunque un uomo privo della libertà e della uguaglianza in ragione, sarebbe privo dell'essenza umana, e non sarebbe un uomo, ch'è impossibile. Nè egli si può condannare a perdere realmente e radicalmente questa qualità, neppure spontaneamente: e nessuna promessa, contratto, volontà propria e libera, lo può mai spogliare in minima parte del diritto di seguire in tutto e per tutto la sua volontà, oggi in un modo, domani in un altro: e come egli ha potuto adesso volontariamente ubbidire, e promettere di ubbidire per sempre; così l'istante appresso egli può disubbidire in diritto, e non può non poterlo fare. V. p.452. capoverso 1. Dunque la società, spogliando l'uomo in fatto, di alcune sue qualità essenziali e naturali, è uno stato che non conviene all'uomo, non corrisponde alla sua natura; quindi essenzialmente e primitivamente imperfetto, ed alieno per conseguenza dalla sua felicità: e contraddittorio nell'ordine delle cose.
Del resto tutto quello ch'io dico della necessità dell'unità, e quindi dipendenza [582]soggezione e disuguaglianza nella società, non appartiene e non ha forza in quanto a quella società veramente primordiale, che entra nell'essenza, ordine e natura della specie umana e degli animali: società imperfetta in quanto società; perfetta in quanto all'essenza vera e primitiva dell'uomo e degli animali, e all'ordine delle cose, dove nulla è perfetto assolutamente, ma relativamente.
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