La unione di queste due influenze, partorisce dunque un effetto massimo. Lo straniero di qualunque condizione, per qualunque circostanza, per qualunque inclinazione, per qualunque professione, per qualunque mezzo, per qualunque fine, abbia dovuto, abbia voluto, si sia abbattuto ad apprendere quella lingua, è padrone di tutta quanta ella è, di parlarla e intender chi la parla, di leggerla, di scriverla, di usarla comunque le aggrada, nella conversazione, nel commercio, e al tavolino; di mettersi in communicazione con tutta [841]quella nazione che la parla o scrive, e con tutti quegli stranieri che l'adoprano in qualunque modo e per qualunque motivo. Il letterato che l'ha appresa per istruirsi, e per conoscere quella letteratura; il negoziante che l'ha appresa per usi di mercatura; quegli che l'ha appresa senza studio, e per sola pratica o de' nazionali, o de' forestieri ec. ec. tutti sono appresso a poco nello stesso grado, ed hanno gli stessi vantaggi.
Questi effetti risultano dalla parità di linguaggio fra gli scrittori e la nazione, e risultano in maggiore o minor grado, in proporzione che la causa è maggiore o minore. In Francia è grandissima, e non solo la detta parità di linguaggio, ma anche la effettiva popolarità e nazionalità degli scrittori e della letteratura. In Italia oggidì (che nel trecento era tutto l'opposto) la lingua scritta degli scrittori, sebbene differisca dalla parlata molto meno che fra' latini, tuttavia differisce, credo, più che in qualunque altro paese culto, certamente Europeo.
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