Non dirò niente de' Sofisti, e degli altri scrittori dell'infima letteratura greca, anche di quella letteratura già moriente e disperata (come ai tempi di Teofilatto Arcivescovo di Bulgaria). I quali quando volevano stare davvero sull'attillato, scrivevano in modo che unita alla viziosa e corrotta ricercatezza, arguzia, e oscurità dello stile, la ricercatezza, e attortigliamento, e tortuosità della lingua, sono di tanta difficoltà ad intenderli, di quanto poco uso ad averli intesi.
Questa declinazione della lingua greca dal suo primo sentiero, e costume ed indole, si può far manifesto ancora considerando la lingua d'Isocrate. Il quale è tanto famoso per la delicatissima cura che poneva nella scelta e collocazione delle parole, nella struttura ed armonia de' periodi, che si potrebbe credere ch'egli, quantunque pel tempo appartenga a quegli [849]antichi scrittori ch'io ho distinto da' più moderni, pel carattere però della sua lingua appartenesse piuttosto a quegli ultimi. E pure la sua cura, qualunque fosse, è così nascosta, la sua lingua, la collocazione e l'ordine delle sue parole, la struttura de' periodi, e dell'orazione, così facile, piana, semplice, naturale, spontanea, che non solo non si allontana dalla primitiva indole della sua lingua, ma riesce anche più chiaro e facile e stralciato di parecchi altri degli ottimi; e certo non meno di veruno di essi. Tanto che a paragonare Isocrate stimato l'elegantissimo e l'accuratissimo degli ottimi scrittori greci, col meno elegante e lavorato de' buoni, si troverà questo, molto più difficile, e men piano e svolto di lui.
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