(1 Luglio 1821.).V. p.1318. fine.
Spesso nel vedere una fabbrica, una chiesa, un oggetto d'arte qualunque, siamo colpiti a prima giunta da una mancanza, da una soprabbondanza, da una disuguaglianza, da un disordine o irregolarità di simmetria ec. ed appena che abbiamo saputo o capito la ragione di questo disordine, e com'esso è fatto a bella posta, o non a caso, nè per negligenza, ma per utilità, per comodo, per necessità ec. non solo non giudichiamo, ma non sentiamo più in quell'oggetto veruna sproporzione, come la concepivamo e sentivamo e giudicavamo a primo tratto. Non è dunque relativa e mutabile l'idea delle proporzioni e sproporzioni determinate? E perchè sentivamo noi e formavamo in quel primo istante il giudizio della sproporzione o sconvenienza? Per l'assuefazione, la quale in noi ha questa proprietà naturale, che ci fa giudicar di una cosa sopra un'altra, di un individuo, di una specie, di un genere stesso sopra un altro, e quindi di una convenienza sopra un'altra. Dal che deriva l'errore universale, non solo del bello assoluto, ma della verità assoluta, del misurare tutti i nostri simili da noi stessi, della perfezione assoluta, del credere che tutti gli esseri vadano giudicati sopra una sola norma, e quindi del crederci più perfetti d'ogni altro [1260]genere di esseri, quando non si dà perfezione comparativa fuori dello stesso genere, ma solamente fra gl'individui ec.
(1 Luglio 1821.)
Si può però ammettere una perfezione comparativa fra i diversi generi di cose, dentro il sistema di questa tal natura, o modo universale di esistere: ma una perfezione comparativa assai larga, e molto meno stretta e precisa di quello che l'uomo e il vivente qualunque si figuri naturalmente; e non mai assoluta, perchè assoluta non potrebb'essere se non in ordine al sistema intiero ed universale di tutte le possibilità. Questo pensiero ha bisogno di esser ponderato, svolto, dilatato, e rischiarato.
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