(V. la p.2007. principio.)
Nel quarto luogo che dirò della scrittura?
1. O della sua mancanza (giacchè è più che verisimile che quando gli uomini e le lingue si divisero e sparsero, non si avesse ancora nessuna notizia della scrittura alfabetica, nè di segno alcuno de' suoni, trattandosi che la lingua stessa allora parlata, era così bambina come abbiamo probabilmente conghietturato dagli effetti); mancanza che toglieva ogni [1268]stabilità, ogni legge, ogni forma, ogni certezza, ogni esattezza, alle parole, ai modi, alle significazioni; e lasciava la favella fluttuante sulle bocche del popolo, e ad arbitrio del popolo, senza nè freno, nè guida, nè norma. Dal che quante variazioni derivino, lo può vedere chiunque osservi i dialetti ne' quali sempre o quasi sempre si divide una stessa lingua parlata, quantunque già formata e applicata alla scrittura; e insomma le infinite diversità che a seconda de' tempi e de' luoghi patisce quella lingua che il popolo parla, ancorchè ella stessa sia pure scritta ec. Che se da questo che noi vediamo, rimonteremo a quello che doveva essere in quei tempi, dove l'ignoranza dell'uomo era somma, somma l'incertezza e l'ondeggiamento di tutta la vita, ec. ec. potremo facilmente vedere, che cosa dovessero divenire, e quante forme prendere o la lingua primitiva o le sottoprimitive, mancanti dell'appoggio, e dell'asilo non pur della letteratura, ma della stessa scrittura alfabetica.
2. Che dovrò dire dell'invenzione della scrittura? Pensate voi stesso, nella prima imperfezione di quest'arte prodigiosa e difficilissima; nella differenza degli alfabeti, o nella inadattabilità dell'alfabeto scritto di un popolo, all'alfabeto parlato di un altro; [1269]nella imperizia de' lettori, e degli scrittori, e de' primi copisti ec. ec. pensate voi quali incalcolabili e inclassificabili alterazioni dovessero ricevere le prime lingue, sì come scritte, sì come parlate, cominciando a influir la scrittura sulla favella.
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