Questa facoltà l'hanno e l'ebbero qual più qual meno tutte le lingue colte, essendo necessaria, ma la nostra lingua in ciò pure, non cede forse e senza forse nè alla greca nè alla latina, e vince tutte le moderne. E l'è tanto propria una decisa singolarità e preminenza in questa facoltà, che forma uno de' principali ed essenziali caratteri della lingua italiana formata e applicata alla letteratura. Come dunque vogliamo spogliarla di questo suo carattere proprissimo, e dell'utilità che ne risulta? Come vorremo negare agli scrittori italiani la facoltà di continuare a servirsene? Se essa fu data alla lingua da' suoi fondatori e formatori ec. E se del tal uso della tal parola non si troverà esempio nel Vocabolario, dovrà condannarsi, quantunque si abbiano mille esempi perfettamente simili e della stessa natura in altre parole, e quantunque il detto uso sia perfettamente d'accordo colla detta facoltà della lingua, e colla sua indole? Perchè una lingua viva dovrà perdere le sue facoltà, che sole in lei [1335]sono proprietà vive e feconde, e conservare solamente il materiale delle parole e modi già usati e registrati, che sono proprietà sterili, e rispetto alle dette facoltà, proprietà morte? Che matta pedanteria si è questa di giudicare di una parola o di un modo, non coll'orecchio nè coll'indole della lingua, ma col Vocabolario? vale a dire non coll'orecchio proprio, ma cogli altrui. Anzi colla pura norma del caso. Giacchè gli è mero caso che gll antichi abbiano usato o no tale o tal voce in tale o tal modo ec. e che avendola pure usata, sia stata o no registrata e avvertita da' Vocabolaristi.
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