Ma le feste di un principe vivo, quando anche fossero decretate dalla nazione, sarebbero decretate dalla nazione suddita al suo padrone, il che avvilisce l'idea del premio, massime sapendo bene che il principe poco si cura di questa ricompensa de' suoi servi; nè può destar l'emulazione, e animare colla speranza, sapendosi che molto maggiori meriti non potrebbero conseguir quell'onore ec. che si concede al principe solo, o a qualcuno da lui scelto, e sua creatura, e il cui merito per esser così onorato, dipende dalla sua volontà ec. ec.
Simili considerazioni si possono fare intorno ai giuochi atletici dei greci, e agli onori che si rendevano ai vincitori, ancorchè [1447]viventi ec.
Di tali feste nazionali o patriotiche, il mondo civile non ne vede più veruna, di nessunissimo genere, se non talvolta qualche Te Deum ed altre cerimonie per una vittoria del principe: sorta di feste che essendo parimente del principe, e poco stendendosi al popolo ec. non meritano di chiamarsi nazionali, quando anche quella vittoria sia veramente utile alla nazione; e non producono quindi mai veruna emulazione, e verun buono effetto, fuorchè una vana allegrezza, giacchè il popolo non vi prende parte (quando pur ve la prenda) se non come invitato; cioè la stessa parte ch'egli ebbe nell'impresa, e che potrà avere nel frutto di questa, se al principe piacerà.
Restano dunque per sole feste popolari, le feste religiose, affatto divise fra noi dal nazionale, ed oltracciò poco oramai popolari, perchè, eccetto alcune, le più si restringono ai soli tempj, massime nelle grandi città, dove i passatempi sono quotidiani e sufficienti per se soli ad occupare.
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Te Deum
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